Da Tremonti alla città antica simbolo del vino Pompei. L’antichità della vite millenaria del comune sui monti Lattari a sud – est e monte Pendolo a nord ovest, sovrastato da monte San Michele con i suoi 1.444 mt da cui, qualche chilometro in basso Maiori, il mare della costiera. Radice appenninica da cui parte quello sperone di roccia calcare che si allunga nel mediterraneo e lo divise nelle meraviglie: la costiera sorrentina e la costiera amalfitana. Luigi Reale sarà con noi a Pompei il prossimo 7 e 8 settembre per i suoi 20 anni di vita dell’azienda che cura con sapienza e visione, insieme al fratello Gaetano e al figlio Andrea. Pimonte è un museo di vecchie vigne prefillossera, diffusissime sull’ampio territorio, in gran parte una conca di verde con numerose e piccole frazioni sparse, una superficie vitata tra le maggiori in Campania. Tintore, pelella, ginestra, piedirosso, falanghina e biancolella, caratterizzano i vini di un luogo che si presenta anomalo, tra castagneti e macchia mediterranea, terreno vulcanico in superficie mentre le radici affondano in profondità nella pietra calcare. Dal mare alle cime delle montagne, una escursione termica che rigenera ogni anno le piante di viti in un clima ventilato, alternando correnti calde e fredde. Luigi ha il timbro della calma di una saggezza intrisa di tradizioni contadine e marinare, dal borgo di Maiori risalito a Pimonte da circa trenta anni, per rinascere con una piccola trattoria e, intorno, i suoi monumentali vigneti. E con pazienza deve far fronte, senza lamentarsi, alla burocrazia di disciplinari vecchi e lenti nell’adeguarsi alla ricerca e definizione dei vigneti e delle denominazioni, ma Luigi fa spallucce e se ne fa un poco beffa, ironico dice, “quando fai un vino di qualità di un vitigno unico, puoi anche scrivere vino da tavola”! Una cantina con due piccoli spazi per la vinificazione dove muoversi per lavorare diventa questioni di centimetri, tenuta in ossessivo ordine dal fratello Gaetano, così come la piccolissima cantina dove raccoglie lo storico dei suoi vini, buone bottiglie di amici produttori e qualche stella del firmamento vinicolo nazionale. Mi conduce nelle sue piccole vigne sparse intorno alla sua casa, entusiasta della sua colonnina meteo che rileva il clima l’umidità con gli allert che arrivano a segnalare i dati, così gli evidenzio anche l’importanza di monitorare la vita della pianta della sua vigoria, l’albero che si nutre nel corso dei suoi cicli vitali e delle sollecitazioni di cui ha bisogno per tempo come l’acqua, in particolare in quella vigna vecchia dove non c’è irrigazione. Adesso ha reso disponibili due comode ed eleganti camere nei richiami della vigna e del vino, realizzate da una giovane architetto.
Aliseo, biancolella 50%, biancuzita (falanghina) 40 e pepella 10, una armonia aromatica e floreale ricco di materia, sapidità agrumata.
Getis, piedirosso 80% e 20 di tintore. Piacevolezza di beva in una scala di sapori di frutta rossa irrobustita dal tannino abbastanza vigoroso del tintore e delle sue leggere sfumature speziate. Una parte in acciaio e l’altra in barrique per dieci mesi, poi affinamento in bottiglia.
Cardamone, nome della c/da Cardamone, casa De Rosa 1920 e Vigna Diana 1929, anche qui Piedirosso (per’e palummo) e tintore. Colore tendente al cupo ma limpido, essenziale ed abbastanza complesso al naso come al palato invadente slancio di acidità che sollecita il palato fino ai suoi margini. Abbastanza tannico e fresco, equilibrato nella sua struttura di medio corpo.
Borgo di Gete, Tintore in purezza. Espressione unica del territorio, delle sue viti antiche della sua potenza espressiva dove il tannino non vuole piacere a tutti, fortunatamente, nessuna declinazione nelle marmellate moderne. Netto e definito, di straordinaria intensità, vibrante con la sua evoluzione delle note speziate, regala complessità ed equilibrio. Al palato la freschezza esalta la struttura ricca di materia viva e avvolgente, destinato negli anni a regalare ulteriori sentori di spezie.