Dopo il ’68: l’avvento dell’Università di massa
Domenica 30 novembre 2025, ore 11:00
Auditorium di Palazzo Blu
con Simona Salustri
Dopo il Sessantotto la legge n. 910 del 1969 introduce l’accesso libero a tutte le facoltà; abolendo il numero chiuso l’università si apre a una platea studentesca più ampia e socialmente eterogenea.
Tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta, gli iscritti raddoppiano, l’università cessa di essere un luogo riservato alle élite. Questa democratizzazione dell’accesso, tuttavia, non si accompagna a una riforma strutturale di pari portata. L’università di massa mostra così un carattere ambivalente: da un lato riconosce l’istruzione superiore come diritto; dall’altro espone i limiti di un’organizzazione che fatica a garantire qualità formativa, efficacia dei percorsi e coerenza con gli sbocchi professionali.
Negli anni Ottanta emerge una consapevolezza diffusa, il sistema dell’università di massa non può più funzionare senza un profondo rinnovamento istituzionale. La legge 341 del 1990 segna il tentativo di rispondere a questa crisi. L’università italiana, pur mantenendo la sua vocazione pubblica, comincia così ad assumere caratteristiche di efficienza organizzativa e responsabilità gestionale.
Durante gli anni Novanta, il discorso sull’università si intreccia con i processi di integrazione europea e con la transizione verso la cosiddetta “società della conoscenza”. L’adesione dell’Italia al Processo di Bologna (1999), che istituisce lo Spazio europeo dell’istruzione superiore, rappresenta la conclusione simbolica del percorso iniziato trent’anni prima. Con la riforma del 3+2 (laurea triennale e specialistica) e con i nuovi meccanismi di valutazione della didattica e della ricerca, l’università italiana si inserisce in un quadro sovranazionale orientato alla mobilità e alla competizione.
Il ciclo che si apre nel 1968 e si chiude a fine secolo racconta dunque la lunga transizione dell’università italiana da luogo elitario a istituzione di massa, da spazio nazionale a elemento di un più ampio spazio europeo e globale dell’istruzione. Al contempo, la democratizzazione del sapere, pur restando incompiuta, si accompagna a una progressiva managerializzazione. In questo equilibrio instabile tra diritto all’istruzione e logiche di efficienza, tra emancipazione e selezione, si riflette ancora oggi l’eredità del Sessantotto e delle sue contraddizioni.
Simona Salustri è professoressa associata di storia dell’educazione e della pedagogia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Le sue ricerche si concentrano sulla storia della cultura e dell’educazione nel periodo fascista, e sulla storia dell’università italiana nel Novecento con particolare attenzione ai periodi di transizione e alle riforme, senza dimenticare la centralità del mondo studentesco. Su questi temi ha al suo attivo volumi e saggi in riviste in italiano e inglese. Collabora con istituti e centri di ricerca quali il Centro Interuniversitario per la Storia delle Università Italiana (CISUI), è parte del collegio scientifico del Centro italiano di didattica della storia (DIPAST), oltre che di comitati scientifici ed editoriali di riviste italiane e internazionali di storia e storia dell’educazione. Ha presentato i risultati delle sue ricerche in numerosi convegni nazionali e internazionali.
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