Qualsiasi grande figura lascia attorno e dietro di sé differenti interpretazioni e letture, spesso tra loro contraddittorie. Non sfugge a questo destino una grande figura del Novecento che ci ha da poco lasciati: Mario Tronti. In questo caso, probabilmente, questa regola generale assume dei tratti specifici. Nel suo lungo percorso di riflessione teorica e pratica, filosofica e politica, infatti, Tronti ha fatto della contraddizione, del paradosso e dell’ossimoro un motore centrale del pensiero. Ciò ha indotto molti a vedere più Tronti, tra di loro alternativi: quello dell’operaismo, quello dell’autonomia del politico, quello dello spirito libero. Il Tronti di Operai e capitale da una parte, quello del Pci dall’altra. Il Tronti che rallenta sulla curva della pratica, in contrapposizione a quello che accelera sul rettilineo della teoria. Lasciando così a ognuno la possibilità di scegliere quello che preferisce, più funzionale ai propri gusti, proprio come è oggi abitudine fare nel mercato delle idee.
L’ipotesi da cui muoviamo, al contrario, è che esista un unico Tronti, che al proprio interno contiene continuità e discontinuità, avanzamenti e arretramenti, conquiste e perdite, pensieri e ripensamenti, incursioni nel fronte nemico e trincee da scavare. Un pensiero di guerra, ovvero l’idea della ricerca intellettuale come guerra, diceva lui: «sei lì su un campo in cui ti devi misurare e anche con l’abilità devi conquistare terreno, e se tu lasci terreno agli altri poi rischi di indebolirti». È la proposizione di un pensiero egemonico, un’incessante contesa per sottrarre territori all’avversario, conquistarli, utilizzarli per i propri fini. È ciò che ha guidato Tronti e altri al confronto con il grande pensiero conservatore e alla cultura della crisi.
Allora rileggere Tronti, nella sua interezza e nella sua molteplicità, al contempo contraddittoria e unilaterale, non può essere un’operazione semplicemente storiografica o filologica. Significa ripensare, oggi, l’essere di parte. Cosa significhi essere non solo pensatori politici, ma politici che pensano. Vuol dire ripercorrere la genealogia di un Novecento sconfitto, non vinto. Allontanarsi dal presente non coincide con il suo abbandono. Può significare mettersi nelle condizioni di forza per aggredirlo con il pensiero. O almeno, questa è la scommessa.
Programma dell'evento:
10 – Introduzione di Giacomo Bottos, Andrea Cerutti, Gigi Roggero
10.30 – Relazione di Carlo Galli
11.15 – Tavolo di discussione con Alessandro Aresu, Ida Dominijanni, Maurizio Ricciardi
13 – Pausa
14.30 – Relazione di Damiano Palano e lettura di un contributo di Massimo Cacciari
15.30 – Tavolo di discussione con Adelino Zanini, Silvestre Gristina, Franco Milanesi
17.15 – Tavolo di discussione con Fausto Anderlini, Pier Vittorio Aureli, Federico Chicchi