Non c’è Pace senza Giustizia
Quello che continua ad accadere in Palestina, a Gaza e in Cisgiordania, è pesantissimo.
Nei giorni scorsi, a reti unificate, è andata in onda un’autocelebrazione che non ha nulla a che vedere con l’apertura di un reale processo di Pace.
Tra le solite imbarazzanti battute sessiste, tentativi di cancellare l’orrore del genocidio (come l’ha definito la Commissione d’inchiesta dell’ONU), esplicita richiesta di ‘sanatoria’ rispetto all’incriminazione di chi del genocidio è responsabile, ancora una volta sulla pelle del popolo palestinese i cinici potenti del mondo non hanno fatto altro che imporre sé stessi e la loro volontà di dominio.
La nostra risposta al piano di Trump e Netanyahu è che c’è bisogno di continuare ad essere presenti con ancora più forza
Se la tregua in corso - ma che, essendo essenzialmente unilaterale, è sempre a rischio - è indispensabile a salvare vite, sappiamo che le condizioni di vita delle e dei palestinesi continuano ad essere durissime: continuano a mancare cibo, acqua potabile, medicinali.
Per questo oggi diciamo
• Apertura di corridoi umanitari subito
• La tregua sia effettiva e si trasformi in un processo di Pace che ruoti attorno ad un punto dirimente ed irrinunciabile: l’autodeterminazione del popolo palestinese
• Liberazione immediata di Marwan Barghouti, un “professore in prigione” da 23 anni, per il suo popolo “la coscienza della resistenza”, il “Mandela di Ramallah”.
• Dare seguito ai mandati di arresto emanati dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Gallant per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Ricordiamo che secondo la CPI Netanyahu e Gallant hanno agito consapevolmente per impedire aiuti umanitari, violando il diritto internazionale umanitario e che tali azioni avrebbero causato malnutrizione, disidratazione e sofferenze gravi alla popolazione civile, con un impatto devastante su ospedali e infrastrutture essenziali. La CPI ha sottolineato che le restrizioni erano motivate politicamente e non da necessità militari.
Con i nostri corpi diciamo no alla guerra perché le radici storiche delle guerre risiedono nell’ordine simbolico patriarcale, sull’affermazione di una virilità aggressiva che legittima socialmente la violenza contro le donne e le soggettività non binarie, trasformando l’altra e l’altro da sé in nemico e portando a percepire come necessario e giusto l’ordine materiale e mentale della guerra.
La pace è una politica, e va caparbiamente perseguita affinché la guerra non faccia più parte della storia.
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